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Diocesi di Noto. Il messaggio augurale del Vescovo

vescovonotoGli auguri di un sereno Natale arrivano da Monsignor Antonio Staglianò, Vescovo della Diocesi di Noto. A seguire il testo integrale.

“Carissimi fratelli e sorelle nella fede, figli e figlie dell’amata Chiesa di Noto, vi saluto di cuore nella “gioia del Vangelo”, unica buona notizia che può entrare nelle nostre esistenze di persone, di comunità e di popoli, animando la speranza di un futuro migliore ricco di pace, di giustizia, di amore. “È nato Gesù il Salvatore e ancora nascerà, sempre”. È questo il “Vangelo della gioia” di cui l’amatissimo Papa Francesco ci parla nell’Evangelii Gaudium, chiedendoci di “uscire”, di avanzare con coraggio e con amore verso le “periferie esistenziali” di ciascuno, intrepidi testimoni della Verità cristiana da portare a tutti con la stessa misericordia del Padre di Gesù e Padre nostro, “misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore” (Salmo 144). Papa Francesco ci chiede di essere “Chiesa in uscita” non per suo desiderio, ma come vescovo di Roma, servo dell’unità della Chiesa cattolica, che interpreta – oggi, qui e per tutti – la volontà di Dio sulla sua missione e vocazione. Accogliamo, dunque, questo tempo di Avvento che ci porta al Natale come occasione propizia (kairòs) per convertirci all’amore di Dio, manifestato in Gesù, come “buoni samaritani”, “sentinelle della carità” ed “esploratori della misericordia”. Nel mondo di oggi, tanti nostri fratelli e sorelle attendono l’annuncio della grande gioia: “è nato Gesù il Salvatore e ancora nascerà, sempre”. Urge però che quest’annuncio si traduca nella pratica gioiosa e concreta dell’a- more, in gesti e opere corporee, nelle quali si rende visibile ed è riconoscile la novità che accade a Natale, con la nascita del Bambino nella grotta di Betlemme. È la novità di un Dio che si fa sempre più prossimo, fino a diventare uno di noi e “come uno di noi”. È un Dio che nella sua umanità, ci mostra le grandi possibilità di amare che portiamo dentro la nostra vita. “Gesù il Salvatore è nato”! Ora tocca a noi nascere, nascere di nuovo nella sua umanità nuova, rinascere continuamente nell’amore. Le incertezze e le preoccupazioni del tempo che stiamo attraversando logorano le nostre energie interiori. La nostra speranza è messa a dura prova dal quotidiano ripetersi di storie di miseria e di disperazioni disumane, nelle quali il finale, da troppo tempo, si ripete identico nel dire “no” alla vita e rinunciare ad essere creature magnifiche di Dio nel vero e pieno senso dell’esistenza. Ogni giorno ascoltiamo storie di giovani dediti alla violenza, soprattutto verso i più deboli, di genitori che giustificano e proteggono le barbarie dei loro figli definendole “uno scherzo”, anche quando questo scherzo consiste nel seviziare con un compressore un ragazzino di 14 anni. Storie di mariti che uccidono moglie e figli per ritrovare la loro libertà, per rifarsi una vita con una nuova compagna. Storie di fidanzati gelosi che uccidono le proprie ex, animati dalla crudele ragione: “o sei mia o di nessun altro”, e poi si suicidano. Storie di persone succubi della crisi economica incombente, capaci di compiere i gesti più disperati. Storie di professori che scambiano prestazioni sessuali per dare un buon voto. Storie dei nostri politici corrotti che con i soldi pubblici comprano caviale e champagne, mentre l’Italia è in ginocchio e i più lottano per la sopravvivenza. Oggi, purtroppo, non attendiamo più nulla dalla vita, convinti che per noi ormai i giochi siano fatti e non ci saranno più né soprassalti di gioia per una buona notizia, né fremiti di dolore per una tragedia umana. La nostra vita scorre piatta come un nastro magnetico che si srotola interminabile, senza dirci più nulla, verso il suo ultimo stacco. Oggi, purtroppo, non attendiamo più nuovi passi nelle stanze della nostra vita, del nostro cuore, della nostra anima, convinti che siano la violenza e la sopraffazione a ottenerci tutto ciò che la vita ci nega e a realizzare i nostri sogni di soldi facili, fama effimera, sballo e vita dissoluta. Noncuranti che il successo e la sicurezza economica ottenuti, sono spesso raggiunti versando il sangue dei nostri fratelli ed anche il nostro. Il dilagante vuoto esistenziale e la silenziosa disperazione che si celano dietro la facciata della nostra normalità, stanno soffocando l’impulso irresistibile a “Vivere Umanamente” che ognuno di noi – come espressione della grazia di Dio – ha dentro di sé. Ci viene impedito di gustare la vita nelle sue emozioni più forti e intense, facendoci cadere nel crudele tranello di non considerala più come un dono, ma come spazzatura da gettare o come un tempo per affaccendarsi prima della morte, portandoci irrimediabilmente a non credere in Dio, per credere solo in noi stessi, privandoci così della divina alchimia di riscoprirsi ogni giorno perdutamente innamorati della propria esistenza. Spesso capita di chiedermi se, nella mia imperfezione e debolezza, riesca a fare abbastanza per risvegliare le coscienze di quanti vivono situazioni di disagio. M’interrogo se la mia voce riesca a convincere fino in fondo quanti, sopraffatti dalla disperazione, intendono rinunciare al loro futuro. Mi domando se le mie azioni siano capaci di rendere testimonianza alla misericordia di Dio e sappiano infondere speranza in quanti scoraggiati e delusi dalla vita, sono diventati sordi ai desideri più profondi e autentici del loro cuore. Se in questo non sono riuscito, vi chiedo perdono. So che non è facile credere in un Dio Padre buono e misericordioso quando ci sentiamo traditi dalla vita, quando sperimentiamo la disperazione delle delusioni subite, quando la nostra vita è un’infinita fuga dall’eterna quotidianità di un’esistenza fatta di violenze e angherie, quando ci sentiamo sopraffatti dal non senso e dal vuoto e quando il sorriso abbagliante della Luce è annullato dal buio profondo del sentirsi perduti e senza scampo. Sì, non è facile credere: condivido con ognuno di voi questa fatica. Credere in Dio non è facile, sperare nella sua presenza è ancora più duro, amare gli uomini quando sono assassini, è sovrumano. Noi tutti lo sappiamo che non c’è fatica più grande sulla terra della fatica di credere, sperare e amare; soprattutto quando la fede attraversa l’oscurità, la speranza deve fronteggiare il dolore e la carità urge in un amore “crocifisso”. Guardiamo alla bella testimonianza di fede di quanti sono perseguitati, uccisi, decapitati e crocifissi in Iraq e in tante zone del modo, dove il fanatismo religioso (lo dobbiamo chiamare così, benché di “religioso” non abbia veramente niente) in nome di Dio, consuma tanta crudeltà e tanta barbarie. La verità cristiana invoca una misericordia visibile, pubblica e non intimistica, che mostri in tante forme corporee l’affetto di Dio verso i nostri fratelli più disagiati, poveri e sofferenti. È facile, infatti, abbandonarsi a Dio nell’intimo della propria coscienza e, su questa strada, rimpicciolirlo a nostra misura, anziché vivere quotidianamente il Vangelo con tutte le rinunce che esso esige! È facile maturare una nostra idea di Dio, basata su una nostra interpretazione personale della Bibbia (o sull’interpretazione del nostro ristretto gruppo), per poi aderire ad essa, con tutte le forze, magari anche con fanatismo, senza accorgerci che ormai stiamo credendo più in noi stessi che in Dio, e che tutta quell’incrollabile fiducia in “dio”, altro non è che una tronfia fiducia in noi stessi, che si svuoterà non appena – per qualsiasi ragione – entrerà in crisi. Perché? Perché il “piccolo mondo idilliaco e fiabesco” costruito da noi, che non ci permette di conoscere e abbracciare un Dio immensamente più grande di quello della nostra povera esperienza è crollato! Papa Francesco ha definito la Chiesa un “ospedale da campo” in situazioni di guerra, perciò nessuno la concepisca come un “centro benessere”! Anche i credenti, come ogni uomo, sono immersi nelle fatiche e nei dolori del vivere quotidiano. Essere buoni cristiani, credere veramente al Vangelo, comporta l’assunzione di prove dolorose e di cambiamenti di rotta che spesso, proprio nella sofferenza, trovano il loro annuncio più convincente. È nella debolezza, infatti, che emerge e si scopre la potenza di Dio che supera le nostre difficoltà e le nostre meschinità e ci consente di vedere le cose di sempre sotto una luce nuova. La fede non ci cambia il paesaggio. Non ci preserva dal soffrire o dal soccombere. Modifica però il nostro sguardo, rendendoci consapevoli che non è lo scansare la sofferenza o la fuga davanti al dolore a guarire l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa maturare, trovandone il senso nell’unione con Cristo. La sofferenza terrena – quali che siano gli eventi che ci travolgono – quando è accolta nell’amore, reca in sé stessa il seme di una vita nuova, la forza che ci sorregge per non soccombere sotto il peso schiacciante delle ingiustizie. Credere, allora, significa ritenere vera la promessa di salvezza che Dio da sempre rivolge all’uomo e confidare incondizionatamente in Lui, anche quando questo implichi il volontario patire di privazioni e disagi, rinunciando a un bene prezioso – materiale o spirituale – per cambiare la propria vita. Siamo persuasi che soltanto in questa fede sia possibile l’incontro con Dio, che solo in questa speranza proviamo il suo abbraccio vitale, e che solamente in questa carità possa avverarsi l’esperienza dell’Eterno. Credere significa aprirsi nella carne e nello spirito all’incontro sconvolgente con un Evento, con una Persona – l’unica – che dona alla vita un nuovo orizzonte e con ciò una direzione nuova e decisiva. Senza fede non c’è vera com-prensione degli altri; senza “questa” comprensione non c’è amore; senza amore non c’è relazione con Dio; senza relazione con Dio non c’è salvezza, né gioia, né felicità, né relazione autentica con i nostri fratelli. È allora importantissimo credere, aver fede, per restare umani e vivere umanamente. Saremo beati se crederemo, perché – come Maria – potremo generare figli di Dio. La generatività è la vocazione e la missione di noi, figli di un Dio. «Beati quelli che pur non avendo visto, crederanno» (Gv 20,29). Maria è prima di tutto discepola della Parola, una persona che come noi ha condotto una vita normale nella più semplice quotidianità; una vita che, ad occhi superficiali, in nulla distinguerebbe da quella di tutte le altre ragazze della sua età: ascolta la Scrittura che racconta le meraviglie di Dio, attende il Messia, vive a Nazareth, un paese sconosciuto e senza importanza… Maria ha le stesse paure delle fanciulle della sua età, vive le difficoltà e le ansie del suo tempo, eppure proprio lei, semplice e sconosciuta, apparente- mente fragile e debole, è scelta da Dio per essere la madre del Messia, il Figlio Suo unigenito. Dio, si sa, non segue criteri e valutazioni umane che gli uomini giudicano secondo le apparenze, Dio vede nel profondo; e proprio nella “fede del cuore” sta la grandezza di Maria: fede nella Parola che Dio le ha rivolto, fede nel credere che a Dio “tutto è possibile” (Lc 18,27), fede come certezza di cose che si sperano e dimostrazione di realtà che non si vedono (Ebrei 11:1), fede nella certezza delle promesse di Dio, nonostante tutto. È per questa fede che Maria, nutrita dalla contemplazione continua e amorosa del mistero di Dio trova la spinta, la motivazione, l’energia e il coraggio di rischiare per Dio servendo il prossimo. Ella si sente amata da Dio e questo stesso amore la spinge a darsi a Lui con tutto il suo essere. La fede di Maria è dunque un atto d’amore e di docilità. Un atto libero – anche se suscitato da Dio – e misterioso, come ogni volta è misterioso l’incontro tra la grazia e la libertà. Maria dopo aver ascoltato la Parola del Signore, con la sua vita rende visibile ciò in cui ha profondamente creduto. La chiamata di Dio è stata da Maria accolta e vissuta dentro questo dinamismo essenziale: grazia e servizio. Maria, maestra nelle Scritture, capì perfettamente l’annuncio dell’angelo e non esitò a dare il suo assenso a Dio, nonostante corresse il rischio di essere lapidato. Maria non aveva visto, ma nonostante ciò è riuscita a non tremare dinanzi al peso di un Mistero senza confini, come la missione affidatale. Ella è chiamata alla gioia, ed è chiamata a intraprendere un cammino difficile accanto al Figlio Gesù. Maria animata dalla sicurezza delle parole: “Il Signore è con te”, nel suo “Amen” manifesta il senso profondo della missione affidatale: essere nel mondo segno dell’amore generoso, gratuito e fedele di Dio, che non toglie le difficoltà, ma si fa presente per aiutarci a superarle, quel Dio che in cambio di un Amore che si consuma, ci conduce alle acque tranquille della salvezza. Maria è il luogo in cui l’amore di Dio verso l’uomo si è concentrato in tutta la sua pienezza. Maria è la prova che Dio ci ama. Maria porta nel cuore la spada sanguinante dell’Amore che trapassa l’anima e della fede che non è mai un privilegio o un onore, ma sempre il dono del morire a noi stessi e alle cose terrene, per aprirsi alla luce dello Spirito. Maria ha certamente intravisto il suo cammino travagliato, intuendo nel cuore i cupi momenti dell’oscurità: la solitudine di chi non sa spiegare ciò che è avvenuto in se, il rischio di non essere creduta e capita, il parto in una mangiatoia, la persecuzione, la fuga in Egitto causata dalla volontà omicida di Erode, la vita discreta di chi serbava e meditava tutto nel suo cuore e ancora la morte in croce del Figlio. A prima vista,quello di Maria potrebbe sembrare un atto di fede facile e perfino scontato: diventare madre del Re che avrebbe regnato in eterno sulla casa di Giacobbe. Diventare la madre del Messia, quello che ogni fanciulla ebrea sognava di essere! In realtà, Maria si è gettata completamente nelle braccia di Dio, Padre suo, mentre l’Evento accadeva e il Verbo di Dio si faceva carne in Lei. Come ciascuno di noi, anche lei dinanzi alle prove della vita, ha avuto paura: “Come è possibile che questo accada non conosco uomo” (Lc 1,34), eppure ha creduto! In totale solitudine. Non sapeva cosa potesse accaderle, si sentiva inadeguata. Lei umile ancella, creatura umana, come avrebbe potuto accogliere il Messia nel suo grembo? Come tutti noi il suo primo istinto fu quello di razionalizzare l’Infinito, di capire cosa poteva succedere nella sua vita. Maria ha avuto una fede dagli occhi aperti, una fede che cerca di rendersi conto di ciò che Dio opera, una fede che è realtà viva che cresce e porta frutto. Alle parole dell’Angelo “Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà”, Ma- ria crede. Crede in ciò che l’Angelo le ha detto e non tanto in ciò che Lei ha capito delle sue parole. Si è affidata al “di più” obiettivamente presente in quelle parole e non a una personale interpretazione di quell’annuncio. Il suo atto di fede è umanamente intelligente, perché scava – affidandosi – nelle profondità del Mistero che sorpassa “ogni intelligenza”. Poi intelligentemente non ha esitato più, ha sospeso il giudizio e ha scelto di abbandonarsi a Dio, di farsi guidare da Lui, di credere che avrebbe concepito un figlio per opera dello Spirito Santo, esprimendo, con il suo consenso, il vivo desiderio di compiere presto ciò che Egli vuole nel suo cuore, prima ancora che nel suo corpo. Maria compie la sua missione nella consapevolezza che non è facile comprendere subito il mistero di Dio: Ella si mette in cammino! Abbiamo bisogno, allora, di una rigenerazione di mente e cuore per proseguire il pellegrinaggio della vita, per capire che siamo creati per la vita, siamo nati per “esserci” nel corpo e per lo spirito, per riscopri- re che dentro custodiamo una luce che vince tutte le oscurità e che la nostra debolezza è supplita dalla forza e dall’amore di Dio. Maria è la donna vera nella sua pienezza umana: donna concreta, sensibile e disponibile. Ella è “umile e alta più che creatura, termine fisso d’Etterno consiglio” (Dante Alighieri). Maria, nella sua fede in Dio, trova la spinta forte di agire e di rispondere ad un Evento che cambia la vita. È Lei che a duemila anni di distanza ci annuncia “la grande gioia”: “è nato Gesù il Salvatore e ancora nascerà, sempre”. Maria è la perfetta discepola del Signore, sempre in ascolto della Sua Parola. Lei ci insegna che custodire significa ricordare scrupolosamente, gelosamente, con amore, senza nulla dimenticare e che meditare significa assimilare, lasciarsi coinvolgere il “cuore”, ordinare una verità con l’altra, scorgendone sempre meglio l’intreccio, la direzione e l’intero disegno. Maria, ha seguito Gesù annotando ogni sua parola e ogni suo gesto, cercando di comprendere il senso di ogni avvenimento. Anche la fede ha i suoi momenti di crisi, di difficoltà, di oscurità, d’incomprensione e di resistenze. La fede è un cammino, la fede è una lotta davanti al dolore, al male e alla morte. Sono tante le difficoltà che nascono dal cuore, e soprattutto quando non sentiamo più niente, ci scoraggiamo, ritrovandoci aridi e incapaci di operare secondo i comandamenti. Allora pensiamo che il Signore non ci parli, non ascolti più la nostra preghiera, che resti muto dinanzi alle nostre sventure e che – nel suo silenzio – ci chieda troppo. Non si sa in anticipo dove va il Signore, solo seguendolo, passo dopo passo, alla fine si comprende il Suo disegno e frammento dopo frammento, in un’apparente illogicità se ne scopre la meravigliosa coerenza. Maria ci insegna che dire sì a Dio è una questione di “cuore”, di “testa” e di “volontà”, una questione che impegna l’uomo nella sua totalità, una questione di vita. Cari fratelli e sorelle, in realtà è proprio nelle difficoltà che il nostro rapporto con Dio si purifica. Quando ci troviamo nell’aridità o nell’oscurità, comprendiamo che Dio è “Altro” da noi, che non si identifica con in nostri sentimenti, con i nostri gusti, con le nostre immagini, ma è sempre al di là, solo allora il nostro dialogo con Lui può diventare finalmente “personale”, autentico e puro. Perseverando nella fede con pazienza e camminando con coraggio nel deserto, noi scopriamo il vero volto paterno di Dio che non ci abbandona mai, che sta vicino a noi, ci afferra, ci tiene per mano e ci accompagna, sostenendo in Gesù, tutto il nostro impegno d’amore verso gli altri, tutti i nostri sforzi di vicinanza ai più poveri ed emarginati. Vi annuncio una grande gioia: “è nato Gesù il Salvatore e ancora nascerà, sempre”. È Lui che urge in noi la carità concreta, visibile ed eucaristica, che spinge il dono della vita fino a prendersi “cura” anche della morte dell’altro, trasformando la propria morte in un dono di vita. È Lui che ci chiede di accordare il dono d’amore con i problemi esistenziali che travagliano il cuore e il corpo di tutti. È Lui che vuole una maturazione della nostra fede, secondo la logica dell’Incarnazione: perché la nostra fede abbia a che fare con il pane che milioni di persone non hanno, con il lavoro che tantissimi perdono ogni giorno, con la casa da cui si viene sfrattati e che viene alienata. È Lui che esige il superamento della giustizia farisaica semplicemente “religiosa”, la quale tiene insieme, senza apparentemente contraddirle: la preghiera a Dio e l’indifferenza verso i fratelli. È Lui che non tollera più l’inautenticità delle maschere religiose di tanti cristiani (siano essi fedeli laici, consacrati o addirittura ecclesiastici “di tutti i gradi”) che – da perfetti ipocriti – vivono la scena religiosa senza fede apparendo buoni, umili e sinceri quando invece sono in realtà “lupi rapaci”, dissoluti, immondi e corrotti (come troppo spesso ci informano i rotocalchi). È Lui che ricorda a tutti coloro i quali ogni domenica vanno a Messa e si cibano dell’Eucarestia che è un crimine sfrattare il fratello che, avendo perso il lavoro, non può pagare l’affitto, costringendolo a stare con la sua famiglia in un auto a passare l’inverno “al freddo e al gelo”. È Lui che pretende da noi l’accoglienza di questi nostri fratelli immigrati (senza guardare a quale credo o etnia appartengano) per farli sentire “essere umani” che necessitano non solo di cibo ma soprattutto di affetto e di compassione. È Lui che nuovamente comanda il rispetto per questo habitat meraviglioso che è la sua creazione, questo “paradiso terrestre” che come un giardino da coltivare è stato messo a nostra disposizione affinchè lo mantenessimo bello, pieno di luce, di armonia e privo di oscurità e devastazione. Vi annuncio una grande gioia: “è nato Gesù il Salvatore e ancora nascerà, sempre”. In Gesù che nasce a Betlemme, Dio stesso si è fatto uditore misericordioso del “sangue di Abele” che ancora grida a lui dai luoghi più remoti della terra. Diventiamo credenti veri, capaci di resistere alle tentazioni del non sentire, del non gustare i doni fecondi dello Spirito Santo e di affermare risolutamente, anche nella fatica e nel dolore: “è arrivato lo Sposo”, “lo Sposo è con noi” sempre, l’Emmanuele, il “Dio-con-noi”. Accogliamo l’invito di Papa Francesco ad “uscire” dal recinto e avanzare nei “pascoli”. Inventiamo insieme forme concrete di una “Chiesa – finalmente – in uscita”, tutti, assolutamente tutti, siamo responsabili davanti a Dio e alla storia degli uomini. Inoltre, siamo stati convocati ad un “discernimento comunitario” sulle sofferenze e le gioie della famiglia cristiana in questo nostro tempo (fino al prossimo Ottobre 2015). Iniziando dal Vescovo, che attende in merito vostri generosi consigli, ma anche preti, consacra- ti, comunità e ogni singolo fedele laico, si interroghi su come cambiare pastoralmente e convertirci a questa “Chiesa in uscita”. Urge ricominciare speranzosi, seppur essendo poveri e pellegrini, come figli di Dio capaci – nonostante tutto – di camminare verso l’appuntamento di salvezza che dall’eternità Egli ci dà. Lui verrà, verrà, di sicuro verrà… questa è la promessa del Natale! Santa Maria, Scala del Paradiso, ci aiuti a ritrovare lo stupore dell’Amore, l’ammirazione per la Vita, la nostalgia degli altri, il desiderio di vivere l’esperienza della carità che tutto sopporta e che ci rende capaci di amore, di appartenenza e di nuova e inedita socialità. Ella ci guidi ad una umanità aperta alla novità del Vangelo e sostenuta dalla speranza incrollabile di essere sempre amati da Dio. Dal silenzio alla voce: Maria, discepola della Parola, aiutaci a credere!”


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