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Floridia, morte don Antonino Loterzo, il ricordo commosso del rettore del seminario arcivescovile mons. Salvatore Garro

FLORIDIA – non si è ancora spenta l’onda emotiva della morte del parroco Don Antonino Loterzo della Chiesa Madre di Floridia. Molti gli attestati di stima dei cittadini, dei sacerdoti e di tutti quelli che lo conoscevano.

E ci sembra giusto riportare il saluto del rettore del Seminario Arcivescovile  della diocesi di Siracusa Mons. Salvatore Garro: “Ho ripensato al giorno in cui sono stato ordinato, nel momento della vestizione a sorpresa si presenta ad aiutarmi padre Antonino e mi dice sottovoce: Salvo bello non era previsto fossi io ad aiutarti, mi è stato chiesto dal tuo parroco e sono contento di poterlo fare… Quando mi è stato assegnato il compito di dire qualcosa al termine di questa celebrazione, sono tornato con la mente a quelle parole e lo ho fatte mie: non era previsto fossi io a dire qualcosa, mi è stato chiesto dal suo viceparroco e sono onorato di poterlo fare…

 Ed ho capito che era il suo ultimo scherzo.

In diverse occasioni quando mi trovavo a concelebrare con lui all’improvviso mi metteva in mano il microfono e mi dava la parola senza preavviso … ho giurato che prima o poi avrei restituito lo scherzo ed invece ancora una volta eccomi qua con in mano un microfono più pesante del solito e alla ricerca di parole che ricordino davanti al Signore la storia di un prete e della sua gente.

Una suora, l’altro ieri sera, a nome di tutti con la voce rotta dalla commozione diceva al vescovo: eccellenza abbiamo perso tanto, abbiamo perso tanto … Vorrei che questo nostro saluto fosse la versione grata di quell’affettuoso lamento: abbiamo perso tanto, abbiamo perso tanto, … ma abbiamo avuto molto …

Ognuno dei presenti potrebbe declinare in modo originale e meglio di me il molto che il Padre ci ha dato attraverso don Antonino. Lo testimonia l’affetto di tutti coloro che in questi giorni hanno visitato la salma e gli innumerevoli ricordi che in tanti stanno consegnando e postando su internet. In mezzo a questa assemblea c’è anche chi ha avuto il privilegio di assisterlo fino all’ultimo istante e custodisce delle tessere preziose e segrete che con il tempo arricchiranno la percezione della delicata amicizia con la quale questo nostro fratello ci ha amati nel Signore…

 Luigino e Ciccio, come chiamava i suoi giovani confratelli collaboratori, hanno eseguito senza possibilità di replicare le sue ultime essenziali volontà riguardanti il concedo: Piedi scalzi, croce in petto, stola viola sulla spalla e alba.

 E adesso questi elementi assumono per noi il valore simbolico di una testimonianza e di un testamento da custodire con Maria.

 Piedi scalzi

… Segno di una presenza leggera e rispettosa. Non siamo mai entrati nella sua casa e per tanto tempo ci ha tenuti lontano dalle sue preoccupazioni …

È entrato lui nelle nostre case, negli ospedali e nelle corsie che ospitavano i nostri ammalati, nelle dispense dei nostri fratelli indigenti e bisognosi, nelle scuole e nelle classi dei nostri giovani e dei nostri bambini, … e non ci ha lasciati soli mentre seppellivamo i nostri defunti.

Sempre in cammino, a volte con la sua bicicletta altre volte a piedi, lo abbiamo visto con quel suo andare caratteristico a metà tra il passo veloce e il saltello. Le sue ginocchia ad un certo punto gli hanno imposto un’andatura trascinata. Di tanto in tanto si confortava chiedendo al suo ortopedico una fastidiosa infiltrazione, ma guai a parlare di protesi perché presentiva che prima del cedimento dell’articolazione sarebbe stato trasferito nel luogo dove ieri ha festeggiato il suo compleanno. Camminare per le strade del nostro paese gli ricordava il gusto del suo primo amore: l’itineranza missionaria. Con il tempo si è serenamente rassegnato all’idea che la sua missione era qui ed amava condividerla con i suoi confratelli più giovani.

 Croce in petto

La croce dice il grande paradosso del cristiano e la festa della sua esaltazione ricorda il giorno in cui il parroco è venuto al mondo.

Don Antonino ci ha abituati da subito ai suoi piccoli paradossi: scampanii che coprono le campane a morte, fiocchi rosa che annunciano nascite di comunità, confetti che trasfigurano funerali in nozze e annunciano l’incontro tra la chiesa e lo sposo, canoe portate al largo senza saper nemmeno galleggiare, scarpinate montane nella sua amata Buccheri, e non solo, ma quasi sempre senza scarpe adeguate, movimento continuo con mezzi inaffidabili e pollice da autostoppista irriducibile, automobili che all’occorrenza diventavano camion per trasporti eccezionali ma anche comodi pulmini per gite con suore e bambine speciali.

 Il paradosso di un dolore dentro che si fa sorriso in volto. Sarebbe fin troppo semplice pensare ai dolori dell’ultimo periodo o ai problemi cardiaci sottovalutati, o agli interventi segreti con convalescenze lampo e firme liberatorie ed incoscienti, ma chi lo conosceva bene sapeva del suo dolore interiore, che mai gli ha impedito di rimanere in sintonia con l’altro.

Il dolore fisico, dunque, come cifra di dolori esistenziali per relazioni e situazioni che tardavano a riconciliarsi in se e attorno a se … e preparavano nuovi passaggi e nuove pasque e alimentavano una irrefrenabile disponibilità al servizio che certe volte si esprimeva in modo bizzarro.

Lo sanno bene, non solo i suoi amici, ma anche i confratelli che ad ogni pasto in comune lo vedevano intrufolarsi furtivamente in cucina e lo aspettavano confuso tra chi serviva ai tavoli con un considerevole numero di piatti in mano.

 Stola viola in spalla 

La stola che annuncia la conversione e il coraggio di cambiare.

Di tanto in tanto il parroco condivideva alcuni frammenti della sua storia vocazionale, talvolta ben celati dietro i gustosi aneddoti della sua cara madre: le fatiche dell’Antonino seminarista, i diversi passaggi dolorosi, la gioia pasquale di una vocazione perduta, ritrovata e riconosciuta, le amicizie presbiterali significative, la necessità di affrontare nuove avventure, la sua curiosità intelligente, l’impegno nell’imparare lingue diverse (di cui danno testimonianza anche suoi professori qui presenti), la libertà di lasciare i legami con la comunità di Brucoli per accettare quella che sarebbe stata la sua ultima impegnativa destinazione, gli occhi lucidi e luminosi quando ricordava o incontrava affettuosamente i suoi familiari. Ogni frammento accanto all’altro racconta di tanti e profondi cambiamenti. Lo abbiamo visto cambiare insieme a noi e davanti a noi …  Si presentò come padre Loterzo, poi divenne padre Antonino ma per i destinatari dei suoi messaggi era semplicemente PL3 …

Padre Loterzo era guardingo e direttivo, ad esempio poteva arrivare a decidere anche dove farti sedere e come e quando lanciare il riso; padre Antonino invece faceva sentire saggio anche chi non sapeva di esserlo e attendeva il tuo parere come se fosse il più importante. PL3 sapeva riconoscere i suoi errori e ammettere i suoi difetti, ti sorprendeva con il suo umorismo e la sua fine autoironia, e lasciava intravedere che con quella stola sulla spalla non cercava onore o protezione per se ma solo la possibilità di fare del suo meglio al servizio del sacerdozio battesimale dei fedeli.

 Ogni tanto riscriveva le regole senza mai ostentare le sue conoscenze teologiche che segretamente continuava ad aggiornare. Alcune delle sue scelte pastorali all’inizio discutibili si sono poi in parte manifestate come attenzione creativa al caso concreto per il benessere dei suoi fratelli, … fino a smontare il suo pensiero ostinato, fino a pensarsi all’interno della gioia e della sofferenza altrui, fino a consumarsi. 

 Il camice

La sera del suo ingresso ufficiale in questa parrocchia dopo aver salutato i fedeli rimase con il camice e di corsa si recò in quello che un tempo era il Salone Carabelli … subito si mise a lavare i pavimenti. Ricordo ancora quella scena che aveva qualcosa di comico, lui correva con indosso il camice bianco e in mano il secchio rosso, dribblando tutti coloro che facevano a gara per collaborare.  Quel camice per don Antonino era il vestito per la festa di nozze ma fu a tutti chiaro che lui ai matrimoni non avrebbe mai recitato la parte dell’invitato normale.  Ed allora ci siamo abituati a vederlo quasi svolazzare con l’alba addosso da una chiesa rettoria all’altra, tracciando così percorsi di comunione. Lo abbiamo sorpreso vestito di bianco andare di corsa, tra una celebrazione e l’altra, per le nostre strade quasi a voler contagiare con la presenza del paradiso celebrato ogni angolo di questo suo paese di adozione. Contento della sua veste battesimale, più che presentare i bambini battezzandi e battezzati li mostrava, nella segreta speranza che la sua comunità desiderasse vivere come i bambini del vangelo e diventasse una sola cosa nella tunica del Cristo tessuta per intero dall’alto in basso. Voleva proiettare il senso dell’assemblea celebrante in questo antico edificio che oggi ci accoglie ed il progetto più ambizioso e più riuscito è stato senza dubbio il portone che ridesta nei fedeli la bellezza di essere chiesa.

C’è forse il tempo per un’ultima domanda …

Cosa avrà voluto dire a noi Dio Padre attraverso questo suo figlio con i piedi scalzi, la croce in petto, la stola viola sulla spalla ed il camice?

È una domanda che resta aperta … Perché immagino lui seduto in prima fila, il posto che prediligeva quando si disponeva ad ascoltare un confratello che senza preavviso era stato costretto a tenere l’omelia al suo posto, e sento la sua voce quasi infastidita per tutte queste attenzioni che per chiudere dice: “Va Bene!”

 Si, va bene!  Ma l’ultima nostra parola, mentre ti rimetti in cammino verso la casa del Padre vuole essere una restituzione delle tue benedizioni attraverso il tuo affettuoso e celeberrimo saluto: “Ciao padre Bello … e Simpaticone … grazie!”


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