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Ogni volta che un bambino siciliano dice “dolcetto o scherzetto” un pupo di zucchero muore

Perchè dimenticare le nostre feste e la nostra identità?

Nonno Enzo non c’era più. All’improvviso, senza un motivo pienamente comprensibile per un bambino di sei anni. Ricordo quel pomeriggio di febbraio nel soggiorno di casa quando papà e mamma cercarono di spiegarmi questa strana storia della morte. Di essa sapevo qualcosa grazie ai cartoni animati ed ai giochi di guerra praticati da un maschietto. Ora però la finzione era finita. Siccome nonno Enzo era dovuto andare in cielo, a sbrigare non so quali faccende, non avrei più ascoltato le sue parole, i suoi racconti, le sue canzoni. Di lui rimanevano i ricordi, la sedia bianca fabbricata per me ed il suo mazzo di carte siciliane custodito dentro una scatola di plastica per cerotti.

Una cosa sarebbe rimasta inalterata, i regali di nonni Enzo. Era solito segnare in un pizzino bianco, che usciva dal taschino della giacca, la lista dei miei giocattoli preferiti. Spiccavano tra questi i personaggi della saga di He-Man. Ogni desiderio veniva realizzato. I nonni non sanno mai dire di no ai nipoti.

I mie genitori mi dissero che nonno Enzo ogni anno avrebbe provveduto, nel giorno della festa dei morti, a portarmi i regali desiderati. Io avrei dovuto procurare, nella notte tra l’1 ed il 2 novembre, un po’ di cibo ed i dolci tipici del periodo per il nonno in visita. Così la mattina del 2 novembre, dopo la notte trascorsa a casa di nonna Cettina, insieme a mio fratello trovavo in salotto i resti del pasto consumato dal nonno ed i regali.

Questa tradizione, questa finzione, permetteva ai bambini siciliani di esorcizzare l’incubo della morte. I cari defunti anche se materialmente non si vedevano rimanevano presenti nella vita delle famiglie. E questo rapporto avveniva attraverso il reciproco scambio di doni (cibo – regali). Una prassi che in antropologia è stata studiata da Marcel Mauss (“Saggio sul dono”).

Oggi gran parte dei bambini vivono il delicato tema della morte secondo altre logiche imposte dal mercato. Il loro immaginario è popolato, in questo periodo dell’anno, dai mostri e dalle streghe di Halloween. Non l’amorevole scambio di doni ma il sangue ed il gusto dell’orrido.

Non tutto quello che viene da altri Paesi e da altre tradizioni è migliore dei nostri usi e costumi. Con il passare del tempo il popolo siciliano sta cadendo nell’errore di perdere progressivamente le proprie tradizioni e le proprie feste. Feste, come sottolineato, che hanno una funzione pedagogica importante.

C’è ancora spazio per i doni dei defunti, la frutta martorana, u cannistru, le ossa dei morti ed i giorni di festa passati in famiglia? Oppure dobbiamo per forza travestire i nostri bambini e nipoti da mostri in nome del fatidico “dolcetto o scerzetto”?

Non basta dire “No Halloween”. Bisogna far riemergere la nostra identità che passa dalla narrazione (soprattutto ai più piccoli) delle storie tramandate dalle nostre famiglie. Da nostri nonni.

Sarebbe un vero e proprio delitto negare ai bambini siciliani la bellezza delle nostre feste. Ogni volta che un bambino siciliano sussurra “dolcetto o scerzetto” un pupo di zucchero muore. Sì proprio quei pupi ormai sempre più dimenticati che prima o poi si rivolteranno contro di noi.

di Mauro La Mantia


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