Firenze – La prolusione del convegno è stata affidata al vescovo di Torino Cesare Nosiglia che nel suo intervento ha affermato: “Un appuntamento, quello che stiamo per vivere insieme, che ha già visto le comunità ecclesiali sparse in Italia rispondere all’Invito in un lavoro di discernimento comunitario che il Papa stesso ci invitava a compiere : «Il discernimento comunitario – diceva a noi vescovi italiani riuniti nell’annuale assemblea del maggio 2014 – sia l’anima del percorso di preparazione al Convegno ecclesiale di Firenze nel prossimo anno: aiuti, per favore, a non fermarsi sul piano – pur nobile – delle idee, ma inforchi occhiali capaci di cogliere e comprendere la realtà e, quindi, strade per governarla, mirando a rendere più giusta e fraterna la comunità degli uomini».
E la Traccia ha raccolto e rilanciato, pur nella sinteticità della sua stesura, alle comunità ecclesiali quanto emerso: un umanesimo che è in ascolto; concreto; plurale e integrale; d’interiorità e trascendenza (cf. la Traccia). L’esperienza del ritrovarsi insieme a livello di comunità locali ha permesso di incontrare non solo le tante periferie in cui c’è una umanità ferita, ma, di verificare la possibilità, e di segni ne sono emersi molti, di “trasfigurare”e di “aprire alla speranza”, di progettare un’umanità nuova. Per tante comunità è stata l’esperienza di ritrovasi, nella pluralità e diversità delle loro varie componenti, a “camminare insieme”, a “mettersi in ricerca alla luce dello Spirito”, in una parola fare esperienza di “discernimento”. Esso è azione ecclesiale già raccomandata dal Convegno ecclesiale di Palermo (cf. Con il dono della carità dentro la storia n.21) e ribadita al Convegno di Verona (cf. la relazione del card. Ruini), ma non ancora pienamente accolta nelle nostre comunità che, pertanto, fanno fatica ad incarnarsi nei loro territori per diventarne lievito di “umanità redenta e riconciliata” perché fondata sulla misericordia di Dio che rinnova l’alleanza compiuta in Gesù Cristo di ogni uomo con se stesso; l’alleanza di ogni uomo con il creato accolto come dono di Dio da custodire; l’alleanza di ogni uomo con il suo simile,che al di là delle reciproche differenze,appella a una vita basata sulla fraternità e il dono di sè.
La sinodalità stile della comunità cristiana
Questo stile di ricerca comune è una delle consegne più belle e significative che a noi viene dalla vita delle prime comunità cristiane; Giovanni Crisostomo scriveva nel Commento al salmo 149: “la chiesa è sinodo” (Ex in Psalm 149,2 in PG 55, 493). Non siamo infatti qui per predisporre dei piani pastorali, né per scambiarci informazioni, neppure per partecipare a dotte conferenze o a un corso di aggiornamento: siamo qui per inaugurare uno stile. Lo stile sinodale – vissuto sia a livello di Comitato preparatorio al Convegno, sia nel cammino delle chiese locali – deve accompagnare il lavoro di questi giorni e sarebbe già un grande risultato se da Firenze la sinodalità divenisse lo stile di ogni comunità ecclesiale. Il cammino (syn-odos) ci consegna innanzitutto un met-odos: non una mera metodologia, ma il desiderio di cercare e di crescere insieme per una chiesa capace di tenere il passato, ma di slanciarsi con forza e coraggio verso il futuro. L’interazione tra la parola che il Papa ci affiderà domani e le riflessioni del prof. Mauro Magatti e del prof. Giuseppe Lorizio che nutriranno il nostro pensiero costituiranno i tasselli di un mosaico che siamo chiamati a tessere insieme. Nello scenario mondiale, ed italiano in particolare, saremo aiutati a cogliere i processi sociali e culturali che agitano il nostro tempo; il necessario approfondimento del dato rivelato ci aiuterà a rifuggire dalla tentazione di trasformare la nostra fede in ideologia riscoprendo in Gesù di Nazareth quell’”umanesimo vero”, quell’”umanesimo sempre nuovo”, che deve ispirare la vita di ogni credente; ed infine l’ampio confronto da parte nostra può realizzare un serio lavoro sinodale di discernimento sul presente e sul futuro della Chiesa che è in Italia, in uno spirito di partecipazione e comunione. Tutto ciò sarà la linfa che alimenterà le nostre giornate. Il grido dell’umanità ferita che a noi giunge dalle tante “periferie esistenziali”:la frontiera drammatica dell’immigrazione, la frontiera sempre più tragica delle povertà anche a causa della crisi economica e occupazionale, la frontiera delicata dell’emergenza educativa.. chiedono che cammino di fede e cammino ecclesiale diventino vie o almeno sentieri di umanizzazione non da declinare in prospettiva intellettuale, bensì esistenziale. Papa Francesco chiede che la nostra riflessione si ispiri a un’autentica “cultura dell’incontro” e che la nostra teologia sappia abitare le frontiere e farsi carico dei conflitti e a queste indicazioni intendiamo ispirare le nostre giornate e il percorso che le nostre comunità sono chiamate a compiere nel dopo convegno, che quindi sarà un punto di partenza piuttosto che un punto di arrivo. Nello stesso tempo siamo consapevoli che anche coloro che non condividono l’umanesimo cristiano compiono opere di bene per l’umanità, che vanno apprezzate e riconosciute mediante un positivo e costruttivo discernimento.
Uno sguardo amorevole sull’umano
Per questo mi auguro che in questi giorni sappiamo mantenere quella nota caratteristica che è emersa nella fase di preparazione: lo sguardo amorevole sulla realtà e sugli uomini del nostro tempo, fatto di riconoscenza e di gratitudine, che scaccia ogni timore e ci permette di leggere i segni dei tempi e parlare il linguaggio dell’amore come ci ha ricordato Papa Francesco nella sua prima Enciclica: “« Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la strada del dialogo con tutti» (L.F. 34). La verità dell’uomo in Cristo non è opprimente e nemica della libertà: al contrario, è liberante, perché è la verità dell’amore. «Nascendo dall’amore può arrivare al cuore, al centro personale di ogni uomo» (L.F.34) Così la testimonianza cristiana dei credenti avrà il sapore e l’odore delle quotidiane sfide dell’esistenza: l’amore dell’uomo e della donna, la generazione dei figli, la cura dell’educazione dei giovani e della dignità dei vecchi, la coltivazione della bellezza, la verità dei sentimenti, la giustizia delle emozioni, la protezione delle fragilità, il senso del lavoro, la capacità di morire, la misura delle parole, la difesa quotidiana della speranza. Sì, un Paese che sta sempre più invecchiando, in cui la gente è sfiduciata e ripiegata su se stessa,dove le diseguaglianze sociali e le povertà non solo materiali ma etiche e spirituali stanno crescendo e dove secondo le statistiche il 31 per cento della popolazione vive da solo chi per scelta, chi per necessità e chi per naufragio esistenziale, ha bisogno di riappropriarsi della speranza che la fede cristiana ha seminato nella sua storia, dando vita a un patrimonio di umanità,santità e civiltà esemplare per il mondo intero. Firenze, la città che ci ospita ci offre il contesto propizio per respirare una cura dell’umano scaturito dalla fede che si è espressa particolarmente con il linguaggio della bellezza, della creazione artistica, della cultura e della carità, senza soluzione di continuità. Qui possiamo sperimentare un modello concreto di come la fede può diventare anima di una cultura e di come la cultura nelle sue varie sfaccettature può offrire al messaggio cristiano un alveo privilegiato per entrare con piena cittadinanza e novità dentro il pensiero, la storia e la vita di un popolo”.
A cura di Salvatore Pappalardo