FLORIDIA – Uno studio sulla deportazione degli italiani nei campi di concentramento e di sterminio nazisti. Il caso specifico specifico dei siciliani della prof.ssa Giovanna D’Amico, docente di storia contemporanea dell’Università di Messina è stato al centro di una conferenza organizzata dalla Fidapa di Floridia e svoltasi al Liceo Scientifico “L.da Vinci” di Floridia. Secondo lo studio della relatrice sono stati 761 i siciliani finiti nella rete di Himler e delle SS. “I siciliani finiscono in maggioranza a Daraho che è un campo meno duro rispetto a Mathausen e proprio per questo si salvano in numero maggiore. I deportati a Mathausen sopravvivono nella misura del 15%. Per i deportati siciliani – aggiunge la professoressa D’Amico – non si può parlare di un campo di approdo quale Auschwitz perchè in realtà furono pochissimi gli ebrei siciliani che finirono in lager per ovvie ragioni. Quella siciliana fu una deportazione sostanzialmente politica e sostanzialmente maschile. Infatti, si trattò per lo più di militari, di persone che erano partite per il servizio di leva o per la guerra e che dopo l’8 settembre del 1943 si erano trovate sbandate nelle zone di occupazione dell’esercito italiano nel centro nord e che impossibilitate a varcare la linea Gustav dovettero darsi alle esperienze degli altri italiani del settentrione che si diedero alla macchia, divennero partigiani, furono renitenti ai bandi Graziani e da lì catturati e portati nei lager”.
Durante la conferenza è stato anche ricordato Aurelio Carpinteri, deceduto lo scorso luglio, caporale dell’esercito italiano e deportato nel campo di concentramento di Mathausen dove ha vissuto quei momenti drammatici nel campo di sterminio.
La presidente della Fidapa di Floridia Tanina Fichera: “La giornata di oggi serve ai giovani per poter riflettere e per seminare qualcosa di positivo nelle loro coscienze.
Alla conferenza hanno partecipato il sindaco di Floridia, la presidente distrettuale della Fidapa, il vice preside del Liceo scientifico e molti studenti che hanno seguito con attenzione la relazione della professoressa D’Amico.
Salvatore Pappalardo
