Cronaca

Siracusa, rifiuti, 5 arresti per bancarotta fraudolenta. Sequestrata la Igm

SIRACUSA – Stamani la Guardia di finanza di Siracusa, su disposizione della locale Procura della Repubblica, ha eseguito un’ordinanza emessa dal Gip aretuseo con cui sono stati disposti gli arresti domiciliari per 5 soggetti, 2 obblighi di dimora, provvedimenti interdittivi a vario titolo per altri 7 soggetti e sequestri, diretti o per equivalente, per circa 11 milioni di euro nei confronti dei quattordici indagati. Sequestrata anche la società Igm, operante nel settore del servizio di raccolta e smaltimento rifiuti per numerosi Enti comunali (tra cui quello di Siracusa) dal valore stimato in oltre 45 milioni di euro.

Nell’ambito di questa operazione denominata “Gold trash“, il provvedimento chiude ampie indagini di natura economico-finanziaria all’esito delle quali, anche con l’ausilio di intercettazioni telefoniche e ambientali, interrogatori, riscontri attraverso banche dati, perquisizioni domiciliari, locali e informatiche, è stata contestata l’ipotesi di reato di bancarotta fraudolenta ad opera di diverse società riconducibili a un noto gruppo imprenditoriale di carattere familiare. Le presunte frodi hanno anche portato, su richiesta dei sostituti assegnatari delle indagini, Salvatore Grillo e Vincenzo Nitti, coordinati dal procuratore Sabrina Gambino, al fallimento di 3 società.

Le investigazioni, anche sulla scorta di precedenti operazioni, sono partite principalmente dall’esame della contabilità di alcune imprese del gruppo, che secondo i finanzieri “versavano in una situazione di sostanziale dissesto“. Dall’attività sarebbero emerse “criticità e alert” che portavano i militari all’esecuzione di ulteriori approfondimenti su aziende che erano subentrate negli appalti dopo che la società aggiudicataria “improvvisamente veniva pilotata verso uno stato di decozione“. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, le entità costituivano un sistema di “scatole vuote” che, in modo programmato, avrebbe “assorbito”, non onorandolo, il carico fiscale e contributivo dell’attività nel suo complesso. Tali operazioni avrebbero visto la presunta “compiacenza di persone con precisi ruoli e di uno staff tecnico, formato da commercialisti, nonché da “prestanomi”, tra cui un avvocato, regolarmente stipendiati dal gruppo“.

Il gruppo imprenditoriale sarebbe riuscito così a gestire l’azienda di famiglia senza onorare pregressi debiti con lo Stato per circa 130 milioni di euro, secondo gli investigatori, lucrando grandi profitti dagli appalti con le pubbliche amministrazioni per sottrarre, nel contempo, risorse indispensabili all’integrità contabile e patrimoniale delle varie società. Nel corso delle indagini è stata anche individuata una società priva di dipendenti, che sarebbe stata finanziata con il denaro delle imprese del gruppo confluito nella realizzazione di “una pregevole villa a uso esclusivo dell’esponente di spicco della famiglia“. Grazie al meccanismo di compensazione dei crediti Iva della società, per l’immobile non sarebbero mai stati versati i tributi, quali l’Imu e, tra i costi di esercizio, sarebbero stati anche annotati acquisti di champagne e altri beni di consumo personale.


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